Orso nero presso Bookstorie
Libreria Bookstorie di Roma (via Valsassina 15/17), 01/10/20
Non mettevo piede in una libreria per parlare a un pubblico non solo virtuale, ma pure fisico dai primi di febbraio di quest’anno. Sono ritornato a una forma comunitaria essenziale di espressione e circolazione del pensiero, della quale nessuno può fare a meno. Almeno gli occhi, nonostante le mascherine, ce li vedevamo gli uni con gli altri. Ed è noto che gli occhi possono essere tanto indifferenti, quanto platealmente partecipi.
Non è, poi, una qualsiasi libreria. Bookstorie è la libreria di quattro libraie d’eccezione. Tra queste, Chiara Calò: con lei c’è un dialogo ininterrotto, di parole, silenzi, e qualche insulto contro il “mondo ladro…reo mondo” (così Falstaff, Giuseppe Verdi, su libretto di Arrigo Boito).
Erano presenti sei preziose persone. E, benché non ce lo siamo detti, il nostro incontro, con tanto di diretta Facebook (al 50’ naufragata per insondabili ragioni tecniche), è valso molto, per ciascuno di noi. Sarà banale, ma ritrovarci nella carne ha fatto la differenza.
Io vestivo i panni del messaggero Wojtek (il messaggero Wojtek non ha tanto le ali ai piedi come Mercurio: piuttosto, indossa come occhiali oblunghe lenti di ingrandimento per cercare le tracce di trascrizione della Realtà in Letteratura), e ho trovato l’accoglienza d’altri tempi per l’ospite sconosciuto portatore di meraviglie.
In questo clima di tempo ritrovato e di spazio rivissuto, abbiamo discorso dei tre libri di narrativa straniera editi da Wojtek sino a questo momento.
Il circo, di Miranda Mellis.
La piaga dei gabbiani, di Stephen Gregory.
Luminosa, di Gilda Manso.
Cercavo di intuire quale storia, quale voce, quali cadenze di questi tre titoli così diversi riuscissero maggiormente a irretire il pubblico. In questi tre libri sono concentrate dosi di verità a un tasso talmente elevato di densità che tutti e tre, in un modo o nell’altro, rievocano una lingua, e una narrazione, riconoscibili. Fatte di presenze di padri e madri e figli adolescenti e bambine di dieci mesi; del confine tra vivi e morti, spostato nello spazio che è tempo di un circo senza principio e senza fine, ricreato nel tempo di memorie marcate su stranianti cave del Galles; della cura del “cosmo”, cioè di un ordine ora ripensato di stazione in stazione post mortem, ora piagato dai gabbiani, ora ricreato a costo di ricorrere a firme false su false sentenze di adozione.
Nel contesto attuale, non è più scontata, quest’esperienza di essere fisicamente in un luogo di concentrazione del pensiero e dei fiati.
Proprio perciò, è un’esperienza che va ri-praticata e, come Il circo della Mellis insegna, ri-cordata.