Huidobro, Sulla Luna
Di recente l’editore salernitano Arcoiris ha pubblicato il testo teatrale di Vicente Huidobro Sulla Luna all’interno della collana Gli Eccentrici, dimora di svariate perle, note e meno note, della letteratura ispanoamericana. Di seguito pubblichiamo un estratto del testo, introdotto da una breve presentazione da parte del traduttore, Loris Tassi.
«Basta. Basta. Ciò di cui abbiamo bisogno è un vero teatro, un teatro teatrale, che sia teatro e niente altro, ma con parole un po’ meno stupide, senza traccia delle cosiddette tranches de vie (una roba del genere non ha nulla a che vedere con l’arte), con un po’ più di lirismo. Tutto qui» scriveva il cileno Vicente Huidobro (1893-1948) nel 1926. Otto anni dopo Huidobro, grande innovatore della poesia latinoamericana («Bisogna resuscitare le lingue», recita un suo celebre verso), mette in pratica le sue idee nel frenetico e grottesco Sulla Luna, «delirio delirante di un’immaginazione immaginativa». Il suo Piccolo Guignol dialoga con le opere di Shakespeare, Jarry, Pirandello e Artaud, e anticipa il teatro dell’assurdo e il gliglico di Cortázar.
Loris Tassi
DELEGATO Ma non sono venuto qui a pronunciare un discorso, bensì ad annunciare che il nuovo Presidente, l’eminentissimo don Juan Juanes, sta per prendere la parola e intende presentarci il suo programma di salvezza nazionale, perché solo un uomo come lui, un gran patriota patriottico, può salvare la Patria e nobilitarne il destino.
Applausi. Il delegato abbandona la tribuna e don Juan Juanes prende il suo posto.
VOCI Viva il nostro Presidente! Viva don Juan Juanes!
JUAN JUANES Signori e concittadini: la Patria in questo solmifado momento mi scegliama per direttare i suoi destinalti e salvascare i suoi princimentoni e legicipi sacripanciuti. Non mi offuspaventano i confusionisti che parlantrigano ed especcusano con la famaccia degli affamani. Non mi offuspaventano i rivoltruci, gli infedemoni, scontenrelitti che incitabardeggiano il popolosco. Non mi offuspaventano gli indigentellettuali, i miscrerpenti, i complosperti. La Patria mi invocuccia e io accocorro al suo servigizio come un buon patrofago, perché la Patria è il principristino sentimentabile di un cuorvello saldone. Se i danaori della nasciatra si perdecchiano, non vi inquietadirate, loro staransicuri nelle mie tascasseforti. Non vi inquietadirate per tampocosa. Deridacchiamo, sghignazziamolto degli affamorti. Non imbrapugnano schioppitrici. Le arminfuocate sono vigiltette nelle mie casetteté. Deridacchiamo, ammiccamici, degli ingecenti visionardi profestolti di una ugualstizia impossibrante. Marciuniamoci coraggioluti verso il solbendizio che è sacrosanterrimo per il patrimano per la nostra Patria per un camcorso glorifacente. Non abbiate timoura, amignori, gli idealeggi della nostra Patria sono sacripanti. Ve lo prometiuro. Questo caotitorio del momenstante con il mio intellento, con il mio solsolfa molto precisuto domifarré.
VOCI Bravo! Bravo! Stupendo! Viva! Bravo!
VOCI Che eloquenza! Che profondità! È un filosofo!